La storia mostra come, almeno negli ultimi 10 anni, ogni riorganizzazione del lavoro ne ha peggiorato la qualità.

Si lavora di più, si lavora a pezzi di attività, si lavora a percentuale su vari settori, ma in ogni caso, si lavora tutti peggio, frustrati, più alienati, sotto il controllo più o meno ossessivo di schiere di “caporali” (coloro che rivestono posizioni di responsabilità di vari livelli). Senza qualcuno che si assuma una qualche responsabilità.

La ricetta dell’ultima riorganizzazione in Ateneo: prendi dai processi lavorativi quel che serve, ma evitando accuratamente di conoscerli, che è fondamentale; rimescola a caso, secondo un astratto modello teorico “a geometria variabile” o “a improvvisazione” (che conoscono e capiscono solo pochi iniziati), approntato per l’occasione; centralizza quanto basta; scarica sulle strutture le cose più complicate, noiose e che implicano problemi; shakera tutto con un po’ di misurazioni di carichi di lavoro a caso e aggiungi un pizzico di nuovi applicativi informatici super-performanti, ma solo per metà dei processi; infine, ingessa le mobilità e “rimuovi” i tempi determinati. Ecco servita, in bella vista, quel che è stata l’ultima riorganizzazione e la perfetta alienazione dal lavoro.

Oggi è ancora peggio.

Carichi di lavoro crescenti, dotazione di personale insufficiente, distorsione degli inquadramenti rispetto alle attività assegnate, scandalosa moltiplicazione degli incarichi organizzativi.

Il messaggio è chiaro: il personale strutturato è un costo e va compresso o eliminato, esternalizzando la maggior parte dei servizi. La ricetta è semplice: trascinare l’organizzazione nella disgregazione, creare disservizi e stress tra i lavoratori facendo ricadere la responsabilità su di essi e, intanto, costruire mansionari ad hoc per le cooperative ed aziende multiservizi, consentendo così l’inserimento di nuovi giovani precari per sfruttarli al meglio a 3 o 4 euro all’ora.

Il Personale sa che una organizzazione vista solo dall’alto non sia strutturalmente in grado di risolvere alcunché.

CUB ha sempre rivendicato una sola regola: il lavoro lo devono organizzare i lavoratori, va rifiutata ogni forma di improvvisazione e soprattutto va rifiutata la dilagante mentalità verticistica.

Pensiamo che per davvero solo i lavoratori siano in grado di migliorare l’organizzazione del lavoro, perché sono loro a capire meglio di altri il funzionamento della “macchina”, i suoi punti di forza e quelli di debolezza.


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