Assorbiti come siamo dall’emergenza, rischia di passare inosservato ciò che va delineandosi per il futuro. Per questo vogliamo parlare qui non del telelavoro “flash” o del LAE frettolosamente abbandonato, ma dei contratti di telelavoro, attualmente della durata di un anno, che Unibo ha attivato e attiverà.
Il primo bando per il telelavoro – 500 posti – era partito con fanfare e propositi mirabolanti, sull’onda di una considerazione chissà quanto sinceramente maturata durante il LAE: “a priori”, dicevano i dirigenti Unibo, non esistono lavori che non possano essere svolti, almeno in parte, da remoto.
Questa era la loro “premessa”: potete ascoltarla a questo link https://intranet.unibo.it/RisorseUmane/Pagine/TaIncontriLavoroAgileTelelavoro.aspx
al primo video, al minuto 12,20. Era il 29 ottobre 2020, anche se pare un secolo fa.
Nella stessa occasione (nelle risposte ai quesiti) il DG dichiarava:
“l’impegno assunto con l’accordo sottoscritto di 500 postazioni che saranno oggetto del bando non è un traguardo, non è il limite assoluto, questo è l’impegno che abbiamo assunto in base anche a quelli che sono i contratti di acquisto di attrezzature, di PC, già sottoscritti […] il nostro intendimento è corrispondere a tutte queste richieste di telelavoro evoluto con questa finalità prevalentemente di tipo conciliativo […] il primo bando sarà [di 500 posti], noi ci stiamo muovendo per andare oltre.”
Insomma, il messaggio che passava era che ci si trovava all’inizio di una, chiamiamola così, rivoluzione conciliativa, cosa per noi già un po’ stonata visto che, lo abbiamo sempre detto, il telelavoro è lavoro, non una passeggiata per sgranchirsi le gambe. Ma certo per tanti e tante anche solo risparmiarsi lo spostamento quotidiano verso l’ufficio può essere un notevole vantaggio per i tempi di vita, quindi ben vengano i provvedimenti in tal senso.
Anche sulle modalità di svolgimento di TL si erano spese parole impegnative, come quelle della dirigente dell’Area del Personale (stesso video):
“posto che riteniamo sia buona norma comunque alternare lavoro in presenza [e] lavoro a distanza […] non è preclusa la possibilità di avere anche dei contratti di TL che prevedano il TL per cinque giornate lavorative”; e ancora: “non ci può essere la pretesa né dall’una né dall’altra parte in termini di numero di giornate, verrà senz’altro data la massima flessibilità conciliativa, quindi si verrà incontro alle esigenze delle persone, nella misura in cui sono ovviamente rispettate anche le esigenze di tipo organizzativo”.
Nell’accordo sul TL – sottoscritto solo dal CGIL e CISL – non si determinava un numero indicativo di giornate in telelavoro; ma, con tali premesse, perché preoccuparsene? Perché pensar male, trovandosi a far peccato? E invece improvviso e molecolare, ovvero caso per caso, era arrivato il dietrofront. Gli uffici dell’Area del Personale si erano posti come “facilitatori” dei contratti individuali, ma l’impressione diffusa era che facilitassero molto più i dirigenti che gli aspiranti telelavoratori. Era emerso così, dal nulla o per meglio dire direttamente dai rapporti di potere, lo standard dei due giorni in telelavoro alla settimana.
Come si poteva far diventare “legge” ciò che forza di “legge” non ha? Anzi, che va persino contro istanze che si dovrebbero ritenere superiori? Gli anni di emergenza sanitaria ce lo hanno insegnato: basta imporlo, senza andare tanto per il sottile. Se un Dpcm può farsi beffe della Costituzione, è ovvio che un’indicazione del DG possa prevalere su un accordo sindacale, no?
“[S]enza voler precludere in assoluto la possibilità di svolgere il telelavoro per un numero di giorni superiore a due, sia il sottoscritto che il Magnifico Rettore riteniamo che le importanti differenze fra il telelavoro e il LAE […] impongono una distribuzione equilibrata tra lavoro in presenza e lavoro da remoto.” (mail del DG del 23 dicembre 2020).
Si era dunque data la stura alle contrattazioni al ribasso; di modo che è accaduto che chi ambiva a due giorni se ne sia trovato concesso solo uno, con un bel “prendere o lasciare”.
Il 7 ottobre 2021, in occasione della messa a bando di ulteriori 200 posti di telelavoro, viene ribadito dal DG (uscente) che l’indicazione data ai responsabili di struttura, in condivisione questa volta con “il Rettore eletto Prof. Giovanni Molari” sarà quella “di prevedere progetti con un numero massimo, di norma, pari a 2 giornate in telelavoro”. Cambia il nome del Rettore evocato, non cambia la sostanza, che anzi peggiora, passando da un possibilista “senza voler precludere in assoluto” a un secco “di norma”.
In mezzo c’è stata e c’è, bisogna dirlo, la vera e propria piaga d’Egitto per il lavoro e il settore pubblico, ovvero Renato Brunetta. Brunetta, che addenta, bava alla bocca, ogni forma di lavoro “agile” nella PA, non è un incidente di percorso del governo Draghi, ma il ministro che più ne rappresenta le pulsioni ferocemente antipopolari. La dirigenza Unibo, con il solito atteggiamento da “primi della classe”, si precipita a interpretarne persino in anticipo i desiderata, come fa il DG uscente in una mail ai sindacati del 5 ottobre scorso sul tema TL, in cui annuncia l’intenzione di agire “coerentemente” con indicazioni normative che erano allora ancora in fase di definizione, e naturalmente in condivisione e collaborazione con il Rettore entrante prof. Molari. Coerenza e condivisione che producono l’attestarsi del TL a soli 700 posti all’anno, a dispetto degli annunci universalistici del 2020, e come detto impongono di nuovo lo standard, senza basi normative, dei due giorni di TL.
Non siamo di quei sindacati che fanno aperture di credito ai nuovi assetti istituzionali solo perché sono nuovi. Sul tema del TL c’è senza dubbio, il tentativo del “vecchio” di trascinare con sé il “nuovo”, ovviamente trovando buon gioco nell’assetto governativo nazionale. Ma il “nuovo” sarà migliore del “vecchio” solo se sapremo imporre il nostro protagonismo di lavoratori e lavoratrici. Questo è quello che proponiamo di fare a proposito del TL, che non è neppure propriamente “conciliazione” ma innanzitutto una modalità di lavoro, così come sugli strumenti conciliativi in senso stretto quali i permessi per visite mediche da non recuperare, i contratti part-time individuali, resi quasi impraticabili nella prassi punitiva degli ultimi anni, una gestione positiva della mobilità interna, il pieno ripristino dei sussidi (e il contemporaneo abbandono della polizza Unipol: abbiamo visto in questi anni che disastri produce lo svilimento del SSN). |