A settembre 2020, ancora nell’ambito della fase emergenziale, Unibo ha cercato di stabilizzare le forme di lavoro da remoto. Sembrava che anche sulla spinta delle norme emanate in via ordinaria già a partire dal 2017 e grazie alla sperimentazione operata di fatto con il LAE (nel periodo dell’emergenza pandemica) vi fosse una forte e rapidissima tendenza verso l’incremento del lavoro da remoto.

Su spinta della compagine UIL, il tavolo tecnico per il lavoro agile in Ateneo si è trasformato in una rivisitazione dell’istituto del Telelavoro. All’esito di mesi di trattativa i confederali (CGIL e CISL) hanno sottoscritto un nuovo accordo sul telelavoro, poi disatteso dalla stessa Amministrazione che ha imposto il telelavoro per soli 2 giorni settimanali su 5, senza alcuna possibile deroga in merito e senza la dovuta flessibilità. CUB aveva invece da subito proposto di calcolare il rapporto tra giorni in presenza e giorni da remoto con margine di compensazione almeno semestrale/quadrimestrale (certamente non settimanale).

Quella che doveva essere una forma di lavoro diffusa è servita a pochi per parare i colpi della pandemia, sia in termini di sicurezza, sia per la conciliazione vita lavoro. Ed è andata anche peggio se consideriamo che l’Amministrazione ha imposto il telelavoro (in luogo del LAE) a tutti i lavoratori fragili, con conseguente perdita di diritti (es. flessibilità nel cambio domicilio) e reddito (diritto al buono pasto).

Oggi è chiaro come la visione dell’Ateneo di questi istituti non sia poi così evoluta. Istituti ad uso e consumo del datore di lavoro, non accessibili a tutti i lavoratori e soprattutto adottati solo come leve organizzative o soluzioni di comodo (risparmi a bilancio).

Così anche per il lavoro agile ordinario (smart working) che Unibo ha sperimentato per tutto il 2021, nonostante la stessa sperimentazione dell’istituto fosse strettamente affine all’esperienza del Lavoro Agile Emergenziale, già messo in pratica dal 98% dei lavoratori nel 2020. E non a caso all’esito della sperimentazione anche i focus group hanno confermato che le criticità da subito rilevate da CUB che riguardano proprio il “modello contrattuale” che Unibo ha adottato nella sperimentazione, frutto di mentalità verticistica ed eccessivamente burocratica.

Ad oggi, si è sperimentato uno Smart Working “solo per alcuni”, questo in palese violazione del principio di rotazione/turnazione. Ora si punta ad estendere la sperimentazione, quando invece il lavoro agile dovrebbe essere consentito fin dal 2017 a tutti i dipendenti che lo richiedono.

Ad oggi, non sappiamo quale sarà l’esito che andrà a formalizzarsi nell’accordo locale, ma sappiamo che proprio su questo tema interverrà a breve anche la contrattazione nazionale.

Glissando sugli aspetti più strettamente contrattuali CUB punta a introdurre nell’Accordo locale una PARTE ECONOMICA: oltre alla previsione del buono pasto anche per tutte le giornate da remoto, occorre individuare una cifra adeguata a titolo di rimborso spese per le utenze. Inoltre, a nostro parere, contestualmente all’avvio del nuovo lavoro agile in Ateneo occorrerà prevedere un piano straordinario di mobilità interna nonché una vera attuazione del principio di turnazione nei ruoli di responsabilità, in modo da cercare di scardinare alcune situazioni ormai purtroppo patologiche.

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