Da tempo, circa un ventennio coincidente con la privatizzazione della contrattazione pubblica, assistiamo allo stucchevole dibattito sulla mistica della valutazione del personale applicato ai dipendenti pubblici. Per l’affermazione di questo inutile e costoso strumento fu addirittura istituito un organismo nazionale.

Non è questo il luogo per contestare, o semplicemente ridicolizzare, i sostenitori sia di parte accademica che di parte dirigenziale. Basterebbe solo mettere a confronto il modello di valutazione che si usa per la dirigenza e quello che si utilizza per i dipendenti!

Nel senso che, anche a voler accettare questo strumento di organizzazione, nella pratica si dimostra che impera una disonestà intellettuale. La valutazione non è fondata su basi oggettive (indicatori, fattori, misurazioni, etc..), ma soggiace alle regole dell’opportunismo o della discrezionalità, oppure ancora peggio (solito refrain italiano), alla regola del dobbiamo farlo perché ce lo chiede la legge o il contratto. I primi responsabili di questa idiozia sono i sindacati confederali che hanno firmato.

Comunque, nel nostro ambito lavorativo lo schema di la valutazione non ha criteri e metodi oggettivi, ma è incentrata sulla misurazione dei comportamenti individuali del lavoratore che lo espone alla percezione del suo valutatore e non all’effettivo lavoro svolto.

La valutazione risulta inoltre del tutto sganciata dal contesto organizzativo e gestionale in cui è calata. Sappiamo che una pessima struttura organizzativa, magari associata alle inadeguatezze dei responsabili restituisce una pessima performance organizzativa e condiziona anche la prestazione del singolo dipendente. E non è un caso se, come al solito, qualcuno mette prima le mani in ciò che è meno “scomodo” (per l’Amministrazione): siamo probabilmente l’unica Pubblica Amministrazione in cui sta provvedendo ad implementare la valutazione individuale senza aver prima valutato i profili organizzativi tramite la performance organizzativa. Ciò significa che si dà per scontato che siano solo i singoli lavoratori da “verificare”.  

Di recente, l’Ateneo, con la scusa che glielo chiede la legge (il contratto formalmente lo prevede da un decennio), è tornato, infatti, all’attacco su questo fronte. Dal 2022 intende applicare questo strumento in modo strutturale con largo dispendio di risorse umane e pubbliche, con costi diretti e indiretti e zero benefici pubblici. Di sicuro però, si otterranno pessimi risultati nella gestione del personale, nel clima organizzativo già provato, competizione odiosa fra lavoratori, e tutte le dinamiche umane e organizzative già note. Praticamente una perversione sadica. Si colpisce la grande platea dei dipendenti, si tutelano i vertici di I, II e III livello e le relative indennità. Con buona pace dell’obiettivo teorico che si vuole perseguire, ovvero rafforzare le motivazioni del lavoratore e la sua crescita professionale!

CUB SUR a questo scempio non partecipa e intraprenderà ogni iniziativa opportuna per il ritiro di questo inutile e odioso strumento di dominio o di solo fastidio per la serenità e la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici.


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