Nelle scuole e negli atenei sta emergendo un malessere profondo, che negli ultimi mesi è diventato impossibile ignorare. E la mobilitazione di oggi, 14 novembre, vuole cercare di testimoniare l’esigenza di un cambiamento che studentesse e studenti, figli e figlie, nipoti, di tutti noi, non possono più stare ad aspettare.
In Unibo abbiamo vissuto in prima persona le proteste promosse dalle Assemblee precarie e lo sciopero del 22 maggio (vedi link) contro il DDL Bernini, i tagli al finanziamento universitario, così come le altre mobilitazioni per fermare il genocidio e le guerre.
Questi percorsi di opposizione hanno portato alla luce un interrogativo che attraversa ormai ogni corso di studio, ogni laboratorio, ogni ufficio, ogni biblioteca: che cosa significa studiare, lavorare e fare ricerca in un’università sempre più impoverita, aziendalizzata e coinvolta nelle logiche del conflitto armato?
Oggi gli accordi con le istituzioni accademiche legate all’industria bellica, le collaborazioni con aziende militari e i bandi europei orientati alla “competitività” in un contesto di guerra stanno diventando parte del funzionamento ordinario del sistema universitario. Lo stesso avviene nelle scuole, seppur con altri strumenti e altre dinamiche.
In Università per chi vive la precarietà sulla propria pelle, questo scenario non è astratto. Significa dover accettare ogni opportunità pur di non perdere stipendio e sostentamento, perché saper rifiutare un finanziamento, o manifestare una presa di posizione divergente, può compromettere le relazioni con chi decide il proprio futuro professionale.
Mentre migliaia di ricercatrici e ricercatori rischiano di essere espulsi dall’università a causa della scadenza dei contratti e le nuove generazioni delle scuole superiori guardano con preoccupazione e inquietudine alle prospettive future, serve mettere in capo una risposta collettiva. Occorre creare spazi condivisi, momenti di piazza per opporsi alla precarietà e ai venti di guerra che soffocano un’intera generazione.
Per questo sosteniamo lo sciopero delle studentesse e delle ricercatrici e diciamo no alla politica di guerra e alla repressione! La presenza di oggi dei ministri degli Esteri e dell’Interno in Fiera a Bologna non può che essere contestata dal mondo della formazione.
