Mentre l’Ateneo si vanta di essere un faro di benessere e attenzione al personale, la realtà quotidiana racconta tutt’altro. È una narrazione stanca e autoreferenziale, utile forse per qualche slide in Senato Accademico, ma totalmente inservibile per chi lavora davvero.

Da anni chiediamo un coinvolgimento serio nei processi organizzativi. In cambio riceviamo sorrisetti paternalisti e frasi da bacio perugina tipo: “Vi vogliamo bene, facciamo prevenzione”. In realtà, la prevenzione è così ben fatta che, per scoprirne gli effetti, serve la macchina del tempo.

Nel 2023 è stato somministrato a tutte/i un questionario con oltre 200 domande per indagare il rischio stress. Peccato che i dati siano stati letti (male), interpretati (peggio), e condivisi con le rappresentanze sindacali (quasi per sbaglio) oltre un anno dopo.

Purtroppo, in Ateneo il malessere organizzativo è strutturale, non episodico. Per anni abbiamo denunciato un sistema in cui il disagio organizzativo viene prima minimizzato, poi mascherato, infine negato. Inoltre la cultura del “dominio” e del “silenzio” è stata fortemente alimentata dagli attuali vertici Unibo.

Noi di CUB cosa chiediamo?
• Reclutamento straordinario
• Stop alle condizioni suscettibili di produrre mobbing e ritorsioni
• Valorizzazione delle carriere, non compressione delle competenze
• Prevenzione vera, non power-point motivazionali
• Responsabilità nei comportamenti, anche (soprattutto) da parte di chi sta in alto

Per saperne di più leggi l’approfondimento qui di seguito!


IL FUOCO È ACCESO. E NESSUNO PORTA L’ESTINTORE.

CUB SUR fed. Bologna da sempre opera con l’obiettivo di rivendicare le legittime istanze di lavoratrici e lavoratori. Anche nel corso dell’ultimo triennio, in ogni tavolo di lavoro, compreso quello relativo alla valutazione dello stress da lavoro correlato, abbiamo sollecitato una più ampia interlocuzione sul tema delle riorganizzazioni caratterizzate dal forte vulnus dato dal mancato coinvolgimento in sede di progettazione dei livelli operativi (vedi nostro comunicato del 29.07.2022).
Più in generale, il nostro obiettivo era quello di mettere in luce le dinamiche organizzative e le scelte politiche adottate dalla attuale Governance nell’ambito della gestione del personale.

Così, il 30 novembre 2023 tramite le RLS – Rappresentanze dei Lavoratori per la Sicurezza della nostra sigla avevamo inviato al Datore di lavoro una richiesta per la convocazione urgente, ai sensi dell’art. 35, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, di una riunione periodica dedicata ai temi citati.

Nessuna sigla sindacale ha sostenuto questa nostra richiesta.

Il Rettore ha rifiutato la convocazione facendoci sapere tramite la RSPP d’Ateneo che “il presumere una esposizione [al rischio stress] senza valutarla, misurarla, quantificarla, stimarla è un danno enorme per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Una risposta di certo non coerente con le numerose dichiarazioni della Governance, in particolare della Prorettrice Vicaria, che sempre declamano come la nostra sia una Università che “ci vuole bene, ci aiuta, fa prevenzione”.

Purtroppo però lo stress lavoro-correlato non si previene a parole, ma con azioni concrete e tempestive e fare prevenzione vuole dire agire prima del problema. E proprio per questo, come RLS puntiamo a far valere gli obblighi datoriali e quindi ad avere delle strategie preventive, utili a porre un freno alle attuali modalità organizzative che portano a difficoltà nel lavoro e favoriscono il verificarsi di situazioni (es. eccessivi carichi e ritmi di lavoro, spesso connessi ai ruoli unici) e comportamenti vessatori verso il personale.

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Ce n’è abbastanza? Ce n’è che avanza…

Lo scorso 21 maggio il tavolo sindacale ha visto finalmente esposti, in forma cifrata, gli esiti della valutazione stress lavoro-correlato relativa agli anni 2020, 2021 e 2022.

Tale rilevazione aveva portato nell’ottobre/dicembre 2023 alla somministrazione di un questionario, di oltre 200 quesiti, e si era conclusa nel novembre 2024 con la firma da parte del Magnifico Rettore di un documento nemmeno condiviso in via preventiva con le RLS – Rappresentanze dei Lavoratori per la sicurezza.

Un’indagine asincrona

Poco di buono si può dire rispetto a quella che potremmo definire una indagine asincrona, nel senso che prende a riferimento un certo periodo storico, ma lo fa assumendo i dati nel triennio successivo.
Se questa tecnica fosse, per esempio, adottata al Bilancio d’Ateneo, staremmo aspettando il 2027 per conoscere gli ammanchi del 2024.

Ma siccome parliamo di persone, non denaro, occorre ancora di più evitare questa “tecnica”, che dissipa dati e persone nel tempo, e che nasconde le motivazioni di chi va in “qualunque luogo che non sia Unibo” che sono alla base – nel solo biennio 2021/2022 – delle dimissioni di ben 116 colleghe/i nonché di ulteriori uscite da Unibo di 108 colleghe/i per concorso o mobilità. Numeri che descrivono una vera e propria fuga da questa Amministrazione, un fatto del tutto nuovo per il nostro Ateneo e inedito per qualunque PA.

Un’indagine che solo parzialmente fotografa “ieri” serve solo a non intervenire mai, nemmeno tardivamente.

Così, il modello caro al Rettore sembra fatto di farina di ossa e carne utilizzata solo per fertilizzare altrove e quanto a pare del tutto inadatta al compostaggio ad uso interno. In buona sostanza, il Rettore vuol far credere che colleghe/i hanno chance altrove grazie all’Ateneo che fa “diventare bravi” mentre, secondo noi, siamo già bravi e capaci; quindi l’unica domanda da porsi è proprio quella del perché le/i colleghe/i se vanno.

Infine, va rilevato che poiché la valutazione dello stress lavoro correlato ha finalità prevenzionistiche, attendere anni e anni un’analisi per attivarsi e predisporre misure di tutela non è accettabile, soprattutto alla luce di una richiesta formale promossa da soggetti istituzionali come le RLS.

Come sono stati letti i questionari

Tra gli altri aspetti anomali, vi è una scelta metodologica che ha comportato la suddivisione del personale d’Ateneo per categorie e ruoli di responsabilità, mentre I.N.A.I.L. prevede che l’analisi sia condotta per gruppi omogenei, ovvero per contesti di lavoro con caratteristiche simili in termini organizzativi.

Invece, in Unibo si nasconde il disagio aggregando i dati: così si cancellano i problemi.
I questionari sono stati infatti analizzati in forma aggregata per categoria contrattuale, mascherando le situazioni patologiche che sarebbero state rilevate se i dati dei questionari fossero stati calcolati per determinati contesti di lavoro (Dipartimento pincopallino, Centro Tal dei Tali, Area della didattica, ecc.).

Ciò ha comportato peraltro che, una volta acquisiti i dati aggregati per categorie, si sia perduto ulteriormente il focus delle reali risultanze in quanto si è fatta una lettura del dato medio tra le varie categorie. Le categorie sono state quindi pesate come se avessero la stessa consistenza numerica (anche se sappiamo, ad esempio, che gli EP sono meno dei D), mentre l’attribuzione di un incarico di responsabilità ha spostato un soggetto da un gruppo di indagine all’altro. Si è dunque assegnato un peso distinto e maggiore a chi è in categoria ex C ma ha un incarico di responsabilità rispetto a chi non ha alcun incarico.

Oltre a questo, nonostante dai dati raccolti siano assolutamente evidenti le criticità in termini di carichi e ritmi di lavoro, tale problema viene sì osservato, ma subito dopo bilanciato tramite l’analisi dalle “forme di autonomia”. Utilizzare una ponderazione di questo tipo non è giustificabile perché “autonomia” in Unibo non è altro che un fare da soli ciò che viene deciso da altri, e quindi il “doversi arrangiare” aggrava carichi e ritmi di lavoro già non gestibili…

Ricordiamo, quindi, che l’autonomia lavorativa è spesso solo un altro nome per l’abbandono organizzativo…

Quali risultati e quali rimedi

I risultati dell’analisi sono stati poi consegnati tramite l’immagine grafica di una bilancia con due piatti, da un lato i fattori negativi, dall’altro quelli protettivi, al centro quelli neutri. Inutile sottolineare che nel primo disegno tra i fattori negativi non era stato inserito alcun elemento. Anche se la bilancia ora è stata integrata con la criticità dei carichi e ritmi di lavoro, ad oggi ancora non evidenzia i fattori di rischio dati dall’assenza di prospettive di carriera (PEO e PEV).

Rispetto a questa grave situazione il CUG – Comitato Unico di Garanzia ha suggerito di implementare la formazione interna. Un intervento che, pur animato dalle migliori intenzioni, rischia di tradursi in un invito garbato al disimpegno o a un mero cambio d’aria, secondo la filosofia serena di Hakuna Matata, mentre nel frattempo restano del tutto inesplorate la responsabilità della nostra organizzazione di lavoro e di chi ha designato ruoli apicali ignorando ogni valutazione sulle effettive competenze psico-attitudinali.

Invece, la CUB ha proposto di adottare correttivi a livello organizzativo perché formare le persone per modificarne i comportamenti è del tutto inutile, in quanto può forse cambiare il percepito di qualcuno ma comunque non risolve problemi (che sono reali). In Ateneo serve infatti promuovere un cambiamento nelle relazioni aziendali, nella programmazione dei fabbisogni, nei ritmi di lavoro nonché, più in generale, nella gestione di rapporti di lavoro, compreso il finanziamento di PEO e PEV.

Anche questa richiesta è stata rigettata al mittente dal Dirigente APOS nonostante le aperture mostrate dai partecipanti al gruppo di lavoro. E anche in questo caso, lato RLS, non abbiamo avuto alcun sostegno da parte delle altre sigle.

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Casi particolari ma non troppo

Agghiaccianti alcuni esiti che non riguardano l’organizzazione in sé ma il suo modo d’essere: tra i rispondenti al questionario, 1 persona su 5 ritiene di essere stata discriminata, mentre 1 persona su 3 ritiene che in Ateneo ci siano persone oggetto di discriminazione.

Le discriminazioni sono in particolare legate:

–          al genere (femminile)
–          alla disabilità
–          alla malattia
–          all’orientamento sessuale.

Entrando, ad esempio, nel dettaglio delle discriminazioni verso le donne, il ritratto di Unibo è quello di un ecosistema maschilista, con tratti di misoginia. C’è chi si sente discriminata perché non ha figli, oppure perché ne ha, oppure anche perché “rischia di averne”. Sul punto ricordiamo che in base ad una folle prassi interna l’Ateneo non sostituisce le lavoratrici in gravidanza (vedi link).

Altri fermamente credono che chi non sta nel “recinto di turno” viene sempre preso come bersaglio. I motivi sono tanti e vari: dall’essere categoria protetta o persona fragile, oppure sulla base di supposti stili di vita o per stili di abbigliamento, o ancora per il rifiuto di lavorare in ferie o fare straordinario…
C’è chi dice di essere discriminato solo perché esprime posizioni discordanti su scelte operative o addirittura perché richiede sia applicata la legge.

Tutte queste discriminazioni, nel percepito dei rispondenti, sono associate ad azioni scientemente agite che si concretizzano in vessazioni, aggressioni, maltrattamenti, assenza di rispetto anche solo dal punto di vista umano e ripetuti comportamenti presuntuosi, ostili e prevaricatori, da parte di attori capaci solo di bassezza morale e che vengono tal volta attuate anche indirettamente, coartando e incitando altre/i a colpire le vittime.

Il “percepito” fotografa una realtà che, come abbiamo anticipato, le RLS e RSU di CUB hanno denunciato in varie occasioni sia alla medicina del lavoro, in specie con riferimento ai casi di disagio collettivo causato dell’organizzazione del lavoro, e che troppo spesso affrontiamo nell’ambito delle assai gravose e tristi tutele individuali.

L’elenco è molto variegato: aggressioni fisiche e non solo verbali, molestie psicologiche, tentativi di allontanamento delle vittime dal proprio contesto di lavoro (o altre forme di isolamento ed emarginazione), azioni agevolmente qualificabili come mobbing, oltre a critiche, minacce velate di possibili limitazioni di diritti (ferie e altro), insulti veri o mascherati, negazione di informazioni, umiliazioni, imposizione di compiti irraggiungibili o, al contrario, forme di demansionamento, ricatti sulla concessione del lavoro da remoto e ripicche nell’ambito delle valutazioni (leggi pagelle) nonché tramite procedimenti disciplinari.

Un ventaglio di condotte praticate da taluni – a partire dalle Segreterie del Rettorato fino alle più lontane periferie – contro chi lavora in questo Ateneo e adottate in risposta a opinioni espresse, ipotesi di lesa maestà, all’aver attribuito errori ai responsabili degli errori stessi, all’essersi rifiutati di lavorare per scopi e intenti estranei all’interesse dell’Ateneo, all’aver richiesto online – con il ritardo di un solo giorno – le ferie già programmate e informalmente approvate peraltro per giornate di chiusura obbligatoria.

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Se parlassimo di un incendio e non dello stress come rischio che l’Ateneo dovrebbe prevenire diremmo che il fuoco NON è spento e l’acqua NON è fredda in quanto, di volta in volta, qualche novello Erostrato aggiunge del comburente sulle situazioni sotto gli occhi di tutte/i (si va da una graduatoria PEO incodificabile fino alle giustifiche del nuovo EVO) e sulle solitudini individuali.

Ora, siccome le azioni di miglioramento non sono state condivise e concordate e non è stato possibile intervenire sul documento firmato dal Magnifico Rettore, affinché non sembri che l’Ateneo abbia promosso un’operazione del tutto inadeguata con obiettivi di facciata, noi chiediamo correttivi reali:

– un piano straordinario di reclutamento del personale TA, comprese le stabilizzazioni;

– un piano di riordino delle figure apicali, anche per fare in modo che la gerarchia sia chiamata a responsabilità per contrastare condotte vessatorie;

– un’indagine sulle ore di straordinario in pagamento e su quelle non recuperate, così come sulla possibilità di fruire effettivamente delle ferie;

– promozione degli istituti (PEO e PEV) per lo sviluppo di carriera;

– uno stop alla pronta reperibilità e un protocollo contro i controlli a distanza tramite Teams;

– un cambio di passo nelle politiche relative all’orario di lavoro tramite un Accordo locale;

– la rotazione delle figure che ricoprono incarichi che intersecano ambiti come lo stress, le discriminazioni e gli atti persecutori, oggi peraltro prevalentemente attributi ad APOS ma da assegnare alla nuova ABESS – Area Benessere e Sicurezza.

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