Il 13 dicembre scorso il DG di allora Degli Esposti è stato “lieto di comunicarci” la proroga di un altro anno della polizza sanitaria con Unipol, ovviamente concludendo con il rituale augurio che in un “periodo così difficile” … “a causa della pandemia”… la polizza sia “importante e concreto supporto, quale forma diffusa di tutela, di prevenzione e di sicurezza del personale dell’Ateneo e dei propri familiari.”

A “causa della pandemia”, ma non solo, noi accogliamo questa notizia non lietamente, ma come un annuncio ferale. E questo lo diciamo non perché ci illudiamo che la polizza non serva a niente, che siano semplicemente soldi buttati eccetera ma proprio perché dopo anni di imposizione della polizza, un poco alla volta, i colleghi e le colleghe si stanno abituando ad averla e talvolta a doverla usare.

Governi d’ogni colore e impasto hanno devastato negli ultimi decenni la sanità pubblica. Al punto che oggi, anche nell’eccellentissima Emilia Romagna di cui tanto si favoleggia, ci sono esami o visite che non è possibile prenotare con tempi d’attesa decenti e/o in luoghi a tutti/e raggiungibili. I datori di lavoro sono indotti dalla normativa e dal favore fiscale a sottoscrivere polizze aziendali “integrative”, creando così artificialmente la “domanda” di sanità privata.

Per restare a noi, nell’ambito dell’introduzione della polizza privata Unibo ha ridotto drasticamente i “sussidi” per il personale TA, sbandierando il fatto che erano sottoutilizzati. Ovviamente sarebbe bastato cambiare il regolamento e appunto renderli facilmente fruibili per decretarne il successo, ma la logica del “non funziona, ci vuole il privato!” è prevalsa. Per ricordare come ciò sia avvenuto, e quali forze si siano mosse “in soccorso” del privato, riprendiamo un nostro comunicato del dicembre 2017:

“La maggioranza degli eletti RSU (eletti CGIL compresi) aveva condiviso la necessità di sospendere la discussione sulla Polizza Sanitaria, ma egualmente le dirigenze CGIL e CISL hanno firmato l’accordo”

Chi paga il conto?

A pagare il conto di questo spostamento massiccio di risorse dal pubblico al privato (a livello nazionale, e che interessa più e più enti e aziende) sono ovviamente, per prime, le persone che NON hanno accesso ad alcun welfare aziendale. Per loro resta solo il sempre più zoppicante SSN, da integrare per chi può permetterselo con prestazioni sul libero mercato, a pagamento.

A pagare il conto siamo in seconda battuta noi stessi, dipendenti Unibo, che quando andremo in pensione, e cioè quando verosimilmente più avremo bisogno di prestazioni sanitarie, ricadremo nella categoria dei condannati al sempre più disfatto welfare pubblico.

Non si tratta solo di altruismo, insomma, ma anche di egoismo lungimirante. O qualcuno crede che, con le misere pensioni che ci attendono, potremo pagarci una polizza ai prezzi commisurati per una persona anziana?

Che fare?

Proponiamo al nuovo governo d’Ateneo un cambio di rotta in più passi consecutivi:

1)un “audit” interno per capire quali prestazioni i colleghi e le colleghe chiedano a Unisalute;

2) la riscrittura di un regolamento per i sussidi che venga incontro al rimborso (rapido e “indolore”) proprio di quelle prestazioni per cui i colleghi e le colleghe si rivolgono più facilmente al mercato privato;

3) con le tempistiche necessarie, uno svuotamento progressivo del rapporto con l’assicurazione privata e un contestuale riempimento del fondo per i “rinnovati”, e ben fatti “sussidi”, fino a giungere all’eliminazione del rapporto privato senza alcun danno per le prestazioni sanitarie a cui hanno accesso i colleghi/e.

Una scelta di tale coraggio da parte di un ente grande e prestigioso avrebbe certamente un effetto virtuoso nei confronti anche dei decisori politici, dei media e dei cittadini. Sarebbe uno dei migliori esempi immaginabili, insomma, di “terza missione”, a favore della sanità pubblica.

Al contrario, invece, più ci lasciamo scivolare nella sanità privata più sarà difficile uscirne. Anno dopo anno, contratto dopo contratto, la nostra salute dipenderà sempre più dalla possibilità di pagare un’assicurazione. È necessario cambiare rotta ora!

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