La resistenza del popolo palestinese è per noi esempio di dignità, perseveranza e lotta contro gli oppressori

La notizia recentemente rilanciata dalla stampa della sanzione disciplinare comminata ad un nostro Professore da parte dell’Università, rappresenta un punto di svolta che impone una riflessione seria e trasparente sul funzionamento del sistema disciplinare all’interno dell’Ateneo.

È noto da tempo – a chi vive e conosce le dinamiche universitarie – che i procedimenti disciplinari si muovono su due binari distinti: uno rapido, severo e poco garantista utilizzato verso il Personale Tecnico Amministrativo e Bibliotecario, e un altro più cauto, diluito e indulgente nei confronti del corpo docente. A ciò si aggiunge un dato particolarmente preoccupante: le segnalazioni da parte della componente studentesca, in molte occasioni passate, non sono state minimamente considerate o adeguatamente istruite, rimanendo spesso lettera morta.

Nel caso del Ricercatore Unibo sanzionato per un “presunto disagio” arrecato agli studenti, oltre alla solita gestione preventiva del dissenso attuata dall’Ateneo (in particolare dal Rettore rispetto al Genocidio del popolo palestinese), assistiamo a uno strano e preoccupante ribaltamento dello schema comunemente praticato in ambito disciplinare. Nello specifico, le dichiarazioni di alcuni studenti – appartenenti alle forze armate israeliane (IDF) – sono state immediatamente accolte dall’Ateneo e hanno dato luogo a un immediato procedimento disciplinare, senza che venisse verificata la fondatezza delle accuse, come dimostra il fatto che è stata già depositata una denuncia per diffamazione da parte del docente interessato. Ancora più singolare è che la versione dei fatti, fornita dal docente stesso, pare non sia stata nemmeno acquisita e valutata durante il procedimento disciplinare.

Tale modalità appare anomala, soprattutto se si considera che – in numerosi altri casi – le dichiarazioni dei docenti sono state considerate, di fatto, incontrovertibili nei procedimenti verso Personale Tecnico Amministrativo e Bibliotecario, al punto da precludere qualunque possibilità di replica, chiarimento o difesa.

Siamo quindi di fronte a un sistema che sanziona, spesso in modo sommario, senza ascoltare le persone coinvolte, senza acquisire elementi essenziali per una valutazione equa e senza garantire un contraddittorio effettivo. È legittimo domandarsi: può un Ateneo procedere a una censura senza nemmeno aver ascoltato la persona interessata? È questo il metodo con cui si amministrano giustizia e etica accademica?

Il caso del docente DIMEVET non è solo una vicenda individuale. È un segnale d’allarme su come le regole diventino variabili strumentali a seconda della posizione ricoperta, dei momenti storici o della sensibilità politica di qualcuno (Israele non si tocca!).

Siccome per noi, l’Università deve essere baluardo della libertà di espressione, della tutela dei diritti e del pluralismo, chiediamo venga immediatamente ritirata la sanzione comminata al docente e che ci si impegni in una revisione profonda delle pratiche disciplinari, garantendo che ogni procedimento si svolga nel rispetto dei diritti fondamentali, dell’equilibrio tra le parti e della piena acquisizione dei fatti.

È tempo di abbandonare ogni ipocrisia, la prudenza selettiva e i doppi standard.

Continueremo a testimoniarlo dentro e fuori la nostra Università: la resistenza del popolo palestinese è per noi esempio di dignità, perseveranza e lotta contro gli oppressori!!!